Resistenza. È uno dei concetti che mi è rimasto più impresso dopo aver ascoltato le ragazze e i ragazzi ragionare su “Cosa sono i valori?” alle Romanae Disputationes. Da loro ho imparato che i valori sono ciò che resiste, ciò che rimane alla fine dei confronti tra le nostre differenze. Ne ho parlato nel mio intervento (video qui sotto).
Discutere, alla fin fine, non è altro che esplicitare la propria gerarchia di valori. Quando discutiamo non solo diciamo che senso diamo al mondo, ma riveliamo anche il posto che ci ritagliamo in esso. Persino dietro il confronto più banale, per esempio se preferiamo i cani o i gatti, si cela uno “scontro” di valori: in questo caso se per noi viene prima il valore della fedeltà (del cane) o quello dell’autonomia (del gatto).
Viviamo nel silenzio dei nostri valori. Essi costituiscono un orizzonte di riferimento che diamo per scontato fino a quando non incontriamo l’altro che li mette alla prova e ci “costringe” a tirarli fuori da quel silenzio.
Un conto è porre i valori, dire cioè “questo è quello che penso” diverso da te. Sono le pratiche del consenso in cui si pone una visione e si fa la conta di quanti sono d’accordo e in disaccordo. Altro conto è cercare di ri-conoscere i valori, cioè conoscerli di nuovo, assieme all’altro, argomentando.
Argomentare non è affermare, ma essere persuasivi, fare lo sforzo cioè di agganciarsi a ciò che l'altro già accetta, per poi spingerlo a vedere il mondo con occhi diversi. Questo porta a “conoscere di nuovo” i propri valori. Argomentare non è contrapporre valori, ma contraddirli: esplicitarli, valutarli, rivederli e ridefinirli continuamente.
Quando la discussione da contrapposizione diventa contraddizione è lì che appare la resistenza. In un dialogo fatto bene, nonostante tutte le argomentazioni e le contro-argomentazioni, qualcosa rimane. Quello che resta, che resiste alle contraddizioni, è ciò che ha valore. Persino nelle discussioni che sembrano andare in stallo, dove non si trova un accordo, il fatto di aver percorso pienamente la differenza e il dissenso, comunque, fa rimanere qualcosa in termini di conoscenza di noi, dell'altro e del mondo in cui siamo.
Discutere “costringe” a una revisione costante del nostro orizzonte di riferimento. Aiuta a decidere con più consapevolezza chi vogliamo essere nel mondo e quale posto vogliamo occupare in esso. L’alternativa è rifugiarsi nel consenso, vivendo senza particolari resistenze e attriti, in un mondo in cui ciò che pensiamo (quindi ciò che siamo) è dato per scontato.
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