estratto da Bruno Mastroianni, AgendaDigitale.eu, 24.6.22
Partiamo con un percorso inverso: osserviamo ciò che non funziona in una discussione e proviamo a mettere a fuoco ciò su cui si potrebbe intervenire per risanare gli scambi deragliati.
Qualche settimana fa, nella trasmissione “Cartabianca” di Rai3, Alessandro Orsini, docente di sociologia alla Luiss, e Andrea Ruggeri, deputato di Forza Italia, sono stati protagonisti di un duro scontro verbale.La discussione verteva sulla questione della guerra in Ucraina e la posizione di Putin nei confronti della Nato. Uno scambio che, sulla carta, aveva tutti i crismi per funzionare: due interlocutori titolati a parlarne e dotati di tutte le competenze necessarie e sufficienti per argomentare sulla questione.
A un certo punto del confronto, però, qualcosa va storto e l’interazione smette di essere un argomentare e controargomentare e diventa un litigio, ponendo di fatto fine al confronto.
Riporto quali sono stati, più o meno, alcuni degli ultimi passaggi dell’interazione:
- Orsini: “Quello che sto dicendo è che se noi gli mettiamo i “soldatini” e i carriarmati al confine, non va bene per l’Italia”.
- Ruggeri: “Senta non è che siamo dei minus habentes, lei è sicuramente un uomo intelligente non c’è bisogno di fare “i disegnini”… “i soldatini”, non è che siamo tutti più scemi di lei, professore”.
- Orsini: “Nel suo caso qualche dubbio lo avrei!”
- Ruggeri: “Probabilmente ha ragione. Le spiego perché. Io ho lavorato tredici anni in televisione, di gente frustrata come lei che spara qualunque cosa pur di farsi riconoscere al supermercato ne ho visti a decine. Lei è un “vorrei ma non posso” nella vita che cerca di farsi riconoscere per strada. Io rappresento qualcuno, seppur indegnamente, lei non rappresenta nessuno; quindi stia buono al suo posto. Questo è il pupazzo che diceva che nel 2018 avremmo subìto un attentato dell’Isis…”
- Orsini: “Lei è un bugiardo. Lei è un disonesto. Quel video è tagliato.”
- Ruggeri: “È un complotto? Di Chi?”
- Orsini: “Le voglio spiegare perché lei è un cretino. Quel video è tagliato, è un falso”.
Dal discutere sulla questione da cui si era partiti, ciascun interlocutore è passato ad attaccare l’altro sul personale. È accaduto cioè uno spostamento del disaccordo dal contenuto della discussione alla relazione tra i due contendenti (Wazlawick 1971, pp.73-74). Tanto che il tema iniziale è scomparso completamente dal discorso di entrambi. Non si discutono più le idee, ma di come le persone coinvolte si presentano inadeguate allo scambio.
Dal litigio alla perdita di fiducia nel dibattito
Vorrei osservare almeno tre effetti che questo tipo di fallimento di una discussione porta con sé (una trattazione più estesa del tema in Mastroianni, 2020).
Il primo, come abbiamo visto, è la perdita del tema oggetto di discussione: si smette di discutere e di argomentare su ciò da cui si era partiti nel confronto e si passa a criticare i comportamenti dell’interlocutore nel dibattito.
Il secondo effetto lo definirei di trasparenza: mentre i due si accusano a vicenda e vanno allo scontro, mostrano a chi assiste alla discussione alcuni loro aspetti caratteriali e di atteggiamento (negativi in questo caso) privi dell’abituale filtro sociale che avrebbe fatto mantenere loro il controllo delle proprie reazioni. In questo caso i due protagonisti finiscono in una sorta di gara infantile per dimostrare chi è il migliore.
Il terzo effetto, che è quello più grave, è la spettacolarità. Chi osserva due persone che si scontrano può provare una forma di piacere. La soddisfazione di vedere uno sovrastare l’altro, grazie alla aggressività delle espressioni più che per la forza delle argomentazioni, secondo dinamiche tipiche di dominanza e discredito (D’Errico & Poggi, 2010).
Questo tipo di soddisfazione può essere ricondotta a quelli che Aristotele definisce piaceri deplorevoli o distraenti (Aristotele, 1175b, 1173b) che non portano cioè verso il bene dell’azione in oggetto (in questo caso una discussione) ma distolgono da essa.
Ora il punto è che nel partecipare a questo spettacolo che provoca un piacere distraente o deplorevole si paga un biglietto molto salato che è la perdita di fiducia (Mastroianni 2020, p. 27-29). Gli effetti, infatti, dello spostamento del focus dalla discussione alla messa in discussione dei disputanti produce una perdita di fiducia nel dibattito: a forza di perdere per strada i temi, si ha la sensazione che non si possa davvero discutere.
Il caso riportato, come molti che si possono osservare online e offline, aggiunge un ulteriore carico su questa triplice sfiducia perché la dinamica si genera tra un esperto e un politico, cioè personaggi pubblici, titolati e che ricoprono un ruolo nella società. I comuni cittadini che assistono si sentiranno a maggior ragione fiaccati nella possibilità di intrattenere discussioni significative.
Si nota insomma come in questo scambio ciò che viene a mancare da parte degli argomentatori è la dedizione al tema (cioè il continuare ad argomentare nel merito) e il distacco da sé (non finire su un piano personale e ad hominem).
Non bastano competenze, ci vogliono virtù
Il punto che vorrei sottolineare è che i due disputanti non compiono solo scorrettezze argomentative, ma è come se dimenticassero la reale posta in gioco: il possibile bene che poteva derivare dal confronto, sia per loro come contendenti, sia nei confronti del numeroso pubblico che assiste alla loro discussione, il quale non sta più ottenendo benefici in termini di migliore conoscenza e messa a fuoco dell’argomento.
In altre parole, questo esempio, che è solo uno tra i tanti possibili, ci mostra che una discussione non fallisce solo sul piano dell’argomento (che si è perso per strada ed è entrato su un terreno puramente ad hominem), non fallisce nemmeno solo sul piano dell’argomentare (che è diventato un denunciare le presunte inadeguatezze dell’altro), ma la pienezza del suo fallimento si può davvero capire solo se la si giudica dal punto di vista del bene in gioco per gli attori coinvolti, che non sono solo i due disputanti, ma anche tutti gli altri astanti che, pur senza intervenire, hanno un ruolo attivo nella discussione (Cohen 2013).
Il punto che vorrei sottolineare è che i due disputanti non compiono solo scorrettezze argomentative, ma è come se dimenticassero la reale posta in gioco: il possibile bene che poteva derivare dal confronto, sia per loro come contendenti, sia nei confronti del numeroso pubblico che assiste alla loro discussione, il quale non sta più ottenendo benefici in termini di migliore conoscenza e messa a fuoco dell’argomento.
In altre parole, questo esempio, che è solo uno tra i tanti possibili, ci mostra che una discussione non fallisce solo sul piano dell’argomento (che si è perso per strada ed è entrato su un terreno puramente ad hominem), non fallisce nemmeno solo sul piano dell’argomentare (che è diventato un denunciare le presunte inadeguatezze dell’altro), ma la pienezza del suo fallimento si può davvero capire solo se la si giudica dal punto di vista del bene in gioco per gli attori coinvolti, che non sono solo i due disputanti, ma anche tutti gli altri astanti che, pur senza intervenire, hanno un ruolo attivo nella discussione (Cohen 2013).
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