Per comunicare bene bisogna partire dai propri limiti. I limiti sono i nostri confini; quando noi conosciamo fino a che punto arriviamo, nel senso di dire dove non riusciamo ad andare oltre, quello è il limite; il limite è: io arrivo fin qui, più in là di così non ce la faccio. Quando noi facciamo seriamente, sinceramente, questa affermazione lì si crea il confine che guarda caso non solo è il punto dove io non arrivo oltre, ma anche il punto dove incontro l'altro.
Il confine ha sempre questa ambivalenza: dove io non arrivo oltre, ma significa anche che da lì in poi c'è l'altro da cui imparo; c'è l'altro di cui ho bisogno; c'è l'altro con cui devo convivere. La chiave per vivere nell'incertezza è scoprire, osservare, accettare e anche valorizzare i propri limiti come elemento di identità .
Noi siamo i nostri limiti, comunicare bene nell'incertezza è incarnare i propri limiti, che significa, per esempio, riconoscere i propri limiti di conoscenza; riconoscere i propri limiti emotivi e caratteriali; riconoscere i propri limiti di competenze, perché ogni volta che io riconosco un limite faccio spazio all'altro che invece avrà quelle conoscenze, quelle competenze, quelle risorse anche emotive con cui potrà venirmi incontro e con cui io potrò stabilire una relazione per andare avanti.
Se io invece questi limiti non li conosco e il mio perimetro è esteso all'infinito perché è "gonfio" – diciamo così – e credo di poter vivere di me stesso e delle mie visioni lì il rischio è che vedrò ogni presenza dell'altro come un'invasione, cioè non riconoscerò che è oltre me, ma lo sentirò invadente nel mio mondo e lo aggredirò. Questa sarà la sfida: sensibilità per i limiti o aggressione basata sul "voglio che le mie credenze incrollabili non siano messe in dubbio dall'incertezza".
[Grazie a Nicola Marini per la trascrizione e ai ragazzi di PoliENERGY per l’intervista da cui è tratto questo estratto].
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