di Bruno Mastroianni,
EXagere, novembre 2018
Adelino Cattani, nella sua riflessione sui dibattiti, parla di due immagini che possono dar forma a un confronto: la battaglia e il collaudo. La prima presuppone che ci si muova in armi e che l’avversario venga battuto e messo fuori combattimento, anche se attraverso le forme civili della discussione. Il collaudo invece corrisponde a un’immagine più articolata: è la procedura secondo la quale il confronto tra argomentazioni viene vissuto come messa alla prova e verifica della tenuta delle proprie idee di fronte a uno o più interlocutori con prospettive diverse.
La modalità del richiamo morale alla presa di posizione polarizzata che abbiamo visto non solo non si muove secondo l’idea del collaudo, ma non riesce nemmeno più a produrre la battaglia: lo scontro, di fatto, non avviene nemmeno più. In altre parole, il problema non è tanto che lo stile di comunicazione polarizzato abbassa la qualità del confronto politico, ma che ne può provocare la scomparsa.
Il richiamo alla presa di posizione, infatti, in questi termini funziona come mero segnale che raccoglie e serra le file di chi sostanzialmente una certa posizione l’ha assunta, prima ancora che venga discussa. Viene dipinta come un’esortazione caratterizzata da una spinta morale programmatica (prendere posizione in tal senso è presentato come un movimento in direzione del bene, del miglioramento, della crescita, ecc.), mentre nella sostanza è un puro riconoscere e riconoscersi in una posizione già assunta che si intende difendere.
Diventa così un quasi-dibattito sostanzialmente conservatore in cui ciascuna parte fa un richiamo a suoi valori da difendere e da conservare, non importa che il contenuto sia la solidarietà e l’europeismo più progressista o la difesa del proprio interesse e della sovranità dei movimenti più populisti: entrambi, con questo richiamo, si guardano bene dal confrontarsi sul merito, sulla tenuta, sull’ordine di priorità da dare a questi stessi valori, da cui dovrebbe scaturire la vera presa di posizione.
Non è un caso che in questo momento storico, in diversi paesi occidentali, tendano ad avere più successo in termini di consensi le schiere polarizzate che fanno appello alla sicurezza, alla tutela degli interessi più individuali, alla difesa dallo straniero e a sentimenti anti-sistema, mentre le schiere basate su valori abitualmente ritenuti più solidali e altruisti finiscono per attirare molti meno consensi in termini di persone già predisposte a quella posizione. La ragione è semplice: le posizioni più individualiste, difensive, privatiste, sono di solito molto più spontanee e “date” in società rispetto a quelle che richiedono un certo percorso riflessivo per riconoscerne il valore. Chiunque, infatti, come minimo vuole difendere se stesso, la propria famiglia e ciò che ha, e questa è come una morale di base dell’essere umano. Il richiamo invece al “dover essere”, all’apertura in nome di valori più nobili, all’uscita dal proprio piccolo perimetro di interessi, richiede riflessione, movimento, percorsi di significato, stimoli, ecc. La prima posizione è più facilmente intercettabile perché è quella che incarna meglio il rimanere fermi a ciò che già si è e si ha, per difenderlo; la seconda richiede che ci si sia mossi, si sia fatto un passaggio ulteriore in direzione di una maggiore consapevolezza.
Nella modalità di contrapposizione in cui non si dibatte nulla, nulla si muove o si scuote veramente; gran parte della comunicazione diventa, per chi ha capito il meccanismo, attività di intercettazione di posizioni già assunte dalla fetta più larga possibile della popolazione, per farle proprie. Da questo punto di vista il web e i social diventano il luogo ideale dove studiare e intercettare le tendenze delle opinioni e il cosiddetto
sentiment, che non è altro che il risultato delle posizioni che gli utenti assumono nei confronti dei principali temi che percepiscono come importanti. Chi invece ancora non ha colto appieno questa dinamica, ad esempio perché ancora sottovaluta il peso della connessione nella vita delle persone o magari ha ancora qualche remora a ridurre a pura intercettazione del consenso la propria attività comunicativa, sta comunque fallendo, rifugiandosi in un moralismo che tende a stigmatizzare e condannare le posizioni “degli altri”, ottenendo solo di posizionarsi precisamente contro il sentiment della maggioranza. In quest’ultima categoria rientrano anche certi discorsi apocalittici sul web e i social, indicati come ultimi responsabili di ogni questione politica recente (dall’elezione di Trump alla Brexit ai risultati delle elezioni italiane): ancora una volta un’affermazione di disprezzo moralistico nei confronti delle posizioni assunte dalle persone, viste come totalmente incapaci di difendersi dalle manipolazioni delle tecnologie.
In sostanza, lo schema della contrapposizione non vede scontrarsi alcuna idea, ma soltanto il distinguersi in base a posizioni già assunte. Da una parte le posizioni che sono in tendenza, accolte e compiaciute senza tanti scrupoli, dall’altra posizioni che non rappresentano una tendenza spontanea nella società che allora si rifugiano in una sorta di “Aventino moralistico” da dove si ritiene di difendere i valori stigmatizzando la barbarie. In realtà , in mezzo non solo non c’è nessun confronto, ma nemmeno uno scontro. E questa assenza di battaglia non crea la pace, ma una cosa più pericolosa: l’inerzia politica.
L’intercettazione del consenso basato sul compiacere le posizioni della popolazione su base statistica da un lato, così come la presa di posizione moralistica che disprezza tutto ciò che viene dalle percezioni della gente dall’altro, diventa la rinuncia a tutto ciò a cui serve la politica: discutere le posizioni assunte, decidere quelle da assumere, in una mediazione che rappresenti il miglior bene possibile per tutti.
Ma allora c’è qualcosa che si può fare di fronte a questa deriva? La via da intraprendere ce la indicano proprio le immagini del dibattito proposte da Cattani: la
battaglia e il
collaudo...
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