Uno dei fattori che compromette le discussioni online è una sproporzione tra la distanza fisica e la vicinanza emotiva: si è vicinissimi perché coinvolti nel confronto su idee in cui crediamo, ma si è lontanissimi perché non ci si guarda in faccia né si è presenti l’uno davanti all’altro.
Questa sproporzione fa vedere tutta la sua problematicità soprattutto quando si affrontano dilemmi etici: ognuno è pronto a muovere guerra all’altro in difesa delle proprie convinzioni, dimenticando proprio l’altro in quanto persona mentre si sta confrontando.
Avvicinarsi all’altro
La strada per uscire e è solo una: avvicinarsi. Fare in modo cioè di supplire alla lontananza fisica con un avvicinamento intenzionale. Come si fa ad avvicinarsi in una disputa? Occorre partire da un riconoscimento positivo dell’altro: prendere in considerazione le sue idee e le sue tesi nel modo migliore possibile. Se gli si oppone un’obiezione, occorre farlo partendo, per quanto si può, da riferimenti, fonti e idee che appartengono e sono affini al suo mondo.
Nel prendere sempre sul serio le argomentazioni dell’altro – anche quando ci sembra che abbia torto – si hanno due effetti vantaggiosi: il primo è non dimenticarsi della persona con cui si sta discutendo in quell’effetto spersonalizzante del “leone da tastiera” che abbiamo già visto; il secondo è quello di renderci capaci di porre “domande potenti”, quelle che sanno davvero porre dubbi e mettere in discussione ciò che dice l’altro a partire dall’interno del suo mondo, e non da una dimensione estranea che può solo acuire di reazioni di difesa.
Non si tratta solo di “mettersi nei panni” dell’altro. Spesso l’empatia nasconde una forma di paternalismo: crediamo di saper indovinare cosa prova l’altro come se fosse in una condizione di inferiorità rispetto a una nostra presunta maggiore consapevolezza. Saper davvero vedere l’altro è riuscire a porre a se stessi le sue domande con sincerità . Che è poi l’ennesimo moto di uscita dal proprio recinto di convinzioni assodate (la propria bolla) per metterle in discussione davanti all’altro e ragionare assieme.
Non è necessario conoscere personalmente il proprio interlocutore: anche in un estraneo assoluto si possono riconoscere i tratti umani in base a ciò che mostra nelle sue azioni e reazioni. Da quegli elementi occorre capire cosa pensa, come sta reagendo, quali sono le sue aspettative, ecc. Spesso non possiamo avere altro che le sue manifestazioni di incomprensione su ciò che sosteniamo: ebbene, sono sempre un punto valido da cui partire.
Cercare l’ultimo
Avvicinarsi dà anche la chiave per risolvere i principali dilemmi etici che si presentano nei dibattiti. Quando una questione controversa sembra non trovare una ragione che vince sulle altre, quando i principi e i valori contrapposti sembrano essere in stallo, occorre fare un’operazione di riavvicinamento alla realtà e di abbassamento: cercare l’ultimo.
Il problema dei dilemmi etici infatti è che spesso niscono in moralismi distanzianti alla ricerca di un colpevole: “è giusto o no fare questo o quello?”, formule che spesso mettono in competizione situazioni di grande sofferenza. Operazioni crudeli e dannose, che squali cano le argomentazioni e suscitano reazioni scomposte.
→ Esempio tipico di conversazione da dilemma “distanziante”:
A: Quando una donna viene stuprata non ti sembra giusto l’aborto?
B: Lo stupro è meno grave dell’uccisione di un bambino.
In uno scambio di questo tipo – che non di erisce molto da quelli che avvengono talvolta online – c’è una disumana classifica dei mali, incapace di considerare le persone e il dolore reali che si celano dietro drammi come lo stupro e l’interruzione di gravidanza: nessuno farebbe mai questa classifica sulla sua pelle o sulla pelle di qualche persona a cui vuole bene. Lo si fa facilmente invece nell’astrazione distanziante del dibattito, ed è il peggiore livello su cui condurre un confronto.
Invece bisogna cercare l’ultimo: chi è il più debole? il più sofferente? chi è colui che nessuno sta difendendo? L’unica classifica da fare è quella per far emergere sempre le persone reali, andando a chi è più “ultimo” di tutti nella discussione, quello che ha poca o nessuna voce. Argomentare tenendosi sempre il più vicino possibile all’ultimo in gioco è una via efficace per uscire dalle proprie bolle e spingere gli altri a uscire dalle loro. Di solito, di fronte all’ultimo in carne e ossa, entrambi cambiano un po’ prospettiva.
(Tratto da Bruno Mastroianni, La disputa felice. Dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico, Cesati, 2017)
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