di Bruno Mastroianni
La realtà è che la situazione è complessa e in evoluzione, ed è difficile dire esattamente dove porterà ; così come è fuorviante ritenere che certi problemi siano da ascrivere in modo esclusivo a internet e ai social, operando una riduzione alla dimensione tecnologica di ciò che invece è propriamente umano e culturale. Ancor prima di previsioni nefaste sul futuro sarebbe preferibile rivolgersi al presente e allo stato attuale delle cose.
La relazionalità esponenziale
Come siamo oggi grazie ai social? Anzitutto è cambiato profondamente il nostro modo di entrare in relazione: non solo si sono accorciate le distanze, ma siamo anche tutti stati abilitati a partecipare al dibattito pubblico (o almeno ad averne la possibilità ) in modo ordinario, facile, libero e non filtrato. Prima l’accesso alle informazioni, così come gli spazi da cui diffonderle, erano assolutamente controllati e definiti (erano i media in senso classico). Oggi siamo tutti allo stesso tempo fruitori e produttori di informazione, senza il bisogno di chiedere il permesso a nessuno. Ma non solo: la diversità (culturale, sociale, geografica, religiosa), che prima era un’esperienza specifica nella vita, è diventata quotidianità : viviamo in un mondo di “vicini” impegnati in un continuo confronto tra prospettive “lontane” che, se non ben gestito, porta all’odio, alla difesa intellettuale, alla chiusura in gruppi di opinioni omogenee impermeabili al confronto.
Tre competenze di base
Ciò comporta che le competenze di comunicazione non siano più qualcosa per addetti ai lavori – i giornalisti e i comunicatori istituzionali – ma un set di capacità basilari per capire il mondo, per farsi capire e per capire gli altri. Ancora prima di lamentarsi per possibili effetti nefasti dei social converrebbe investire tempo e energie per far maturare tali competenze. Da dove iniziare? Si potrebbe partire da tre ambiti di lavoro: il primo riguarda la capacità di giudicare l’attendibilità delle informazioni, il secondo la possibilità di uscire dalle bolle di opinioni omogenee, il terzo l’opportunità di imparare a discutere e a confrontarsi in modo produttivo e efficace.
1. Attendibilità delle informazioni
Alla base del vivere connessi non può che esserci il saper riconoscere ciò che è attendibile da ciò che non lo è e in che grado. Questa competenza, tipica della professionalità giornalistica, è oggi richiesta a chiunque, perché tutti siamo stati abilitati all’accesso non filtrato alle informazioni. Riconoscere le fonti, valutarne l’autorevolezza, cercare di risalire il più possibile alle primarie e dirette, confrontare le diverse versioni; sono azioni che oggi non richiedono uno sforzo impossibile per l’utente comune: il fatto di avere “il mondo a portata di mano” permette di farlo. Certo non si potrà andare a fondo su ogni questione (il ruolo degli esperti e dei giornalisti rimane cruciale) ma perlomeno si potrà maturare una certa capacità di riconoscere ciò che è provvisorio, incompleto, parziale. Il punto infatti non è tanto tecnico quanto culturale: abbiamo l’umiltà di mettere in dubbio ciò che asseconda le nostre certezze? Sappiamo non aderire al primo istinto in base a ciò che leggiamo?
2. Rompere le bolle
Questo apre alla seconda competenza: quella di saper uscire dalla zona sicura delle proprie bolle di opinioni omogenee. A tutti costa essere messi alla prova, avere a che fare con la diversità , con il dubbio, con persone che mettono in discussione il nostro mondo. Sul web questo istinto può trovare grande “soddisfazione”: migliaia di persone possono trovarsi e chiudersi in tribù di opinioni omogenee rafforzandosi a vicenda nelle proprie convinzioni senza mai confrontarsi con visioni alternative. Questa dinamica, tutta umana, è anche favorita dagli algoritmi che tendono a offrire contenuti in base agli interessi espressi in precedenza dagli utenti. Di nuovo quindi un problema non esclusivamente tecnologico: non saranno mai le soluzioni tecniche a farci uscire dalle nostre bolle, ci dobbiamo pensare noi.
Come? Curando che tra le nostre connessioni sui social ci siano sempre interlocutori che non appartengono alla nostra cerchia ristretta (sociale, culturale, politica, religiosa, ecc). Facendo in modo di ricevere abitualmente input che arrivino da interlocutori che parlano con linguaggi e mentalità distanti dalle nostre. Ovviamente devono essere persone competenti e attendibili, ma il punto è che non siano a noi affini. Ciò farà sì che quel gesto quotidiano (e apparentemente innocuo) di vedere cosa succede sui social, ci “costringa” virtuosamente a confrontare costantemente – e quindi mettere alla prova – le nostre convinzioni.
3. La #disputafelice
Da qui la terza competenza essenziale: riscoprire il gusto di disputare senza litigare. L’unico antidoto alle bolle di convinzioni omogenee e all’inattendibilità delle informazioni è quello di accettare la sfida della conversazione globale in cui siamo inseriti. Lo sforzo di confrontarsi con il diverso – persino con chi polemizza e esprime ostilità – aiuta a diventare più umili, più consapevoli dei propri limiti, più desiderosi di trovare migliori fondamenti e argomentazioni per le proprie convinzioni. In una parola: aiuta a formulare e riformulare meglio il proprio pensiero.
L’aggressività e l’odio online nascono proprio dalla rinuncia alla disputa felice: attaccare l’altro usando le proprie certezze come armi è solo una difesa dal dubbio, anche quando quest’ultimo è espresso male e in modo aggressivo. Il risultato è l’assenza di confronto, l’impoverimento, modi di costruire la propria identità basati più sull’imitazione e sullo spirito di appartenenza che sulla conoscenza della realtà .
Ciò richiama tra l’altro alla responsabilità tutti coloro che hanno un ruolo preminente nella società (giornalisti, media classici, associazioni, istituzioni, ordini professionali, ecc.) che dovrebbero fare lo stesso sforzo di costante chiarimento, spiegazione, valutazione delle informazioni, a partire dai pregiudizi e dall’aggressività espressi dagli utenti, accettando sempre ciò che c’è di costruttivo nel dubbio che ogni provocazione solleva. Rinunciare a questa disputa, o disprezzare i dubbi liquidandoli assieme all’odio o all’ignoranza che li accompagna, significa lasciare il campo libero al populismo e alle manipolazioni.
Queste competenze oggi sono il “saper leggere e scrivere” minimo richiesto per vivere connessi. Così come abbiamo sviluppato la consapevolezza che, per vivere in democrazia, l’alfabetizzazione fosse fondamentale, oggi vale per l’alfabetizzazione digitale, che non concerne solo l’uso tecnico dei mezzi ma, più in generale, la nostra capacità di vivere all’altezza di questa ulteriore dimensione della relazionalità umana che ci siamo procurati. La scuola, le famiglie, i luoghi di lavoro e di socializzazione, dovrebbero prendere molto sul serio questa necessaria azione culturale per la crescita di un’umanità meno primitiva nelle relazioni online.
(Questo articolo è stato pubblicato su VIAPO supplemento culturale di www.conquistedellavoro.it, il 6 maggio 2017)
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