Tra i due litiganti il terzo rielabora (e gode)

di Bruno Mastroianni


Per avviare la riflessione sulla #disputafelice prendo spunto da un post di qualche tempo fa in cui notavo che nel partecipare alla conversazione online ci viene spontaneo adottare una modalità di interazione istintiva, basata sull’accordo/disaccordo: di fronte a un certo tema di solito reagiamo opponendoci oppure ci adeguiamo esprimendo il nostro consenso con grande facilità. Lo vediamo accadere costantemente nei dibattiti sulle questioni di attualità.

Queste modalità però, pur essendo immediate e facili, sono di fatto anche le meno proficue. Procedere per continui consensi/dissensi, infatti, alla lunga chiude in una sorta di sistema binario delle opinioni, riducendo la nostra capacità di elaborare e rielaborare, di contribuire alla conversazione e di offrire qualcosa in più a noi e agli altri mentre discutiamo di significati e idee.

Reagire: due svantaggi 

Sono interazioni tipicamente reattive quelle che iniziano con “non sono d'accordo", “peccato che...", “è una vergogna...", e così via. Quante volte le vediamo nei commenti, nelle condivisioni, nelle risposte in gruppi di whatsapp? Quante volte il nostro primissimo modo di intendere e percepire una questione è posizionarci rispetto ad essa, ancora prima di averla valutata a fondo? Eppure farlo mette in difficoltà l'espressione del nostro pensiero, non la facilita.

Tecnicamente infatti questa modalità ha un doppio svantaggio. Il primo è che a diventare l'oggetto della conversazione è il dissenso stesso, tanto che il merito della questione viene oscurato. Chi inizia con “peccato che..." o "ma che dici" (altra espressione reattiva tipica) crea un clima per cui è quasi impossibile che l'altro prosegua ascoltando le motivazioni. Nella modalità reattiva la forma conflittuale usata oscura tutto il resto: anche se si parte per dirimere una questione, si finisce a soffermarsi sulla propria posizione (contrastante) rispetto quella dell'altro. Temi, idee, argomenti, finiscono in secondo piano.

Da qui il secondo effetto inefficace: reagire è sempre seguire il "gioco" di un altro. Alcuni con grande capacità approfittano di questa modalità per suscitare intenzionalmente reazioni e ottenere sdegno e critiche (in termini di dislike, commenti e risposte sdegnate) aumentando il peso dei loro contenuti. Alla base del clickbaiting e delle fake news, come anche delle azioni di certi “professionisti della provocazione”, c'è spesso lo sfruttamento di questa dinamica reattiva.

Adeguarsi: ovvero fare una dichiarazione di voto 

La seconda modalità è quella di adeguarsi. Rientrano in questa categoria i post e i commenti che plaudono a qualcosa o la esaltano esprimendo solidarietà, approvazione, adesione, ecc. In questi casi sono tipiche le forme come "sono d'accordo", "sottoscrivo!", "applausi per", "finalmente", ecc.

Anche in tale modalità lo svantaggio è che il merito del tema diventa secondario rispetto alla comunicazione della propria posizione. Non si discute veramente della questione, ma si fa una specie di dichiarazione di voto (di approvazione) rispetto all'opinione di un altro.

Si adegua anche chi cerca di intervenire costantemente su ciò che è nei trending topics anche se non ha molto da dire, pur di ricevere like facili. Sebbene tale modalità paghi in termini di popolarità e di peso online, lo svantaggio è dipendere da ciò che gli altri si aspettano e approvano. Non è un caso che chi si muove in questa ottica alla lunga difficilmente attira conversazioni realmente rilevanti. Anche qui il clickbaiting e le fake news, i discorsi populisti e “piacioni”, approfittano abbondantemente di questa modalità online.

Ri-elaborare: portare qualcosa nella discussione 

La terza è invece quella più interessante, anche se la più difficile: quella di andare oltre il semplice assenso o dissenso, per rilanciare e dire qualcosa in più rispetto alla corrente di opinione creata da un determinato fatto o da un certo contenuto in una conversazione.

In questa terza modalità ci si inserisce nella conversazione non per posizionarsi, né per ottenere consensi e like, ma per aggiungere qualcosa. Rientrano in questa modalità: le spiegazioni, le contestualizzazioni, l’espressione di dubbi pertinenti, la diffusione di dati rilevanti, le argomentazioni coerenti, le narrazioni alternative, i punti di vista inesplorati. 

Questa modalità è faticosa perché richiede essere distaccati dalla proprie posizioni, preparati sul tema, pronti a correggersi, capaci di parlare ventilando dubbi e possibilità più che certezze.

Chi rielabora si pone nell'atteggiamento collaborativo di chi prende per buono ciò che viene dagli altri, ma sa anche di evidenziarne i limiti, e si prende la briga di partecipare, senza chiudere o definire chi ha (o presume di avere) ragione.

Rielaborare è sostanzialmente lo sforzo di superare l'istinto primitivo a reagire o adeguarsi per fare un passo verso una dimensione più evoluta del confronto.

Ridare fiato alle conversazioni

Rielaborare è "faticare" per rimanere costantemente sul tema, rispettando la sua importanza, e disinnescando gli elementi di distrazione - come i litigi - che di solito sono estranei alla questione. Una persona che rielabora rivitalizza la conversazione, tra l'altro incoraggiando chi è disposto a discutere.

Spesso le conversazioni muoiono nell'ostilità perché nessuno si prende la briga di ridare fiato argomentativo tra i contrasti. Di fatto è questo l’unico modo per inserire davvero elementi nuovi nella discussione, al al di là dell'espressione di posizioni pregresse.

Lo sforzo di rielaborare può dare grandi soddisfazioni: cercare di farsi capire prima di "prendere posizione" fa diventare più umili, ironici, creativi e, spesso, anche più rilassati nel ricordare che, per quanto ci si possa affezionare alle proprie certezze, ci sarà sempre qualcosa da mettere in discussione, per capire meglio il mondo in cui viviamo.

Tra due (o più) litiganti il terzo, se rielabora, gode.