di Bruno Mastroianni
I recenti casi di cronaca, caratterizzati da un presunto inquietante ruolo delle tecnologie digitali, hanno suscitato un dibattito acceso sul Web e i suoi pericoli. La discussione è divenuta a tratti preoccupante, soprattuto per la tendenza di molti ragionamenti a convergere verso la solita e ritrita prospettiva: è bene "spegnere" la tecnologia. Come se tutta la questione del Web, dei social network, del mondo connesso, si potesse semplicemente e, ancora una volta, liquidare con alcune regole per un sano switch off.
Il punto è che, nonostante siamo connessi da 30 anni, c'è una specie di bug che ci fa considerare sempre il Web come qualcosa di nuovo che riguarda il futuro. Da qui l'atteggiamento difensivo e di preservazione. Scuole, famiglie e altre realtà educative e culturali, sembrano ancora lontane dall'entrare nell'ottica di un'educazione solida e continuativa all'online: si continua a rimandare il tema a un momento non precisato del domani.
Il dibattito poi è focalizzato su su "limitare" e "regolamentare" perché gli esperti "apocalittici" che popolano i media classici sono spesso piuttosto assenti sui social. Per molti di questi l'online è semplicemente una dimensione poco conosciuta. Da qui il timore dell'ignoto.
La realtà è che il Web è già qui: siamo già esseri umani definitivamente connessi. Quella online è già vita quotidiana ineliminabile, che ci piaccia o no. Ora, nessuno dice che non ci vogliano sane regole né si sogna di negare che spegnere la tecnologia ogni tanto sia una cosa sana, ma qui non c'è un inquietante futuro da cui difendersi, né un ignoto da temere, quanto piuttosto un banale ritardo educativo da recuperare nel presente.
Finora puntando sull'off abbiamo raggiunto un solo risultato: il Web è un ambiente dove le persone fanno da sé - senza strumenti e occasioni per riflettere - come possono. Da qui ai casi di cronaca non ci vuole molto.
Se per 30 anni ci siamo focalizzati su sane pratiche per spegnere, è ora di occuparsi di tutto quello che succede da quando si accende. Bisogna affrettarsi a costruire in tutti i luoghi adeguati una cultura delle relazioni digitali, perché siamo in ritardo.
Non è così difficile: basterebbe farsi un giro sui tanto temuti social per trovare decine di professionisti dediti a un paziente lavoro culturale per dare strumenti e prospettive sul digitale. Nelle scuole, nei talk show, nelle audizioni delle commissioni parlamentari, lasciamo perdere i "guru del malaugurio" e chiamiamo loro: stanno lì sul campo da anni, sanno già cosa fare.
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