Si tratta di quel "maniavantismo" educativo, di cui abbiamo già parlato, a cui ormai siamo abituati quando consideriamo la comunicazione digitale. È quell'educazione all'uso delle tecnologie intesa come sottrazione e prevenzione, in un costante istinto difensivo intento a mettere paletti e limiti per impedire che certe dinamiche prendano il controllo su di noi.
Da qui nascono quei discorsi secondo cui virale - cioè il fenomeno per cui un contenuto riceve l'attenzione progressiva ed esponenziale di molte persone in Rete - è qualcosa di "non pulito", di poco nobile, contraddistinto spesso da interessi commerciali o comunque non del tutto limpidi. Così come il tema dei like e delle condivisioni che rendono popolare un certo contenuto: questa popolarità ci appare spesso sotto una luce negativa, come se il desiderio di avere riscontro fosse solo qualcosa di sbagliato, di disdicevole. Questi termini - assieme a "di moda", "fa tendenza" - vengono affiancati a sensazioni di superficialità , mancanza di spessore, emotività , scarso studio e poca riflessione. Ma è proprio così?
Il capovolgimento non va fatto per tecno-entusiasmo. Chi dice che tutto è bello e buono quando si parla di tecnologia, infatti, compie dal lato opposto lo stesso errore del "maniavantismo". Entrambi rimangono sulla superficie dello scenario digitale - difendendosi o gettandosi a capofitto - senza averne un'adeguata comprensione.
Quello che occorre è, come al solito, non separare mai i due elementi essenziali, che sono inscindibilmente uniti nell'attuale panorama della comunicazione: l'uomo e la tecnologia. Percepire il Web solo da un punto di vista tecnologico, senza l'umano, è travisarne l'essenza; così come percepire l'uomo senza la tecnologia è fraintendere la sua attuale e reale condizione relazionale e comunicativa.
Insomma in questi fenomeni va ritrovato il senso dell'uomo-tecnologico e della tecnologia-umana. Così "virale" sarà percepito per ciò che veramente è: ciò che interpella l'umano e che lo spinge a reagire e interagire. Che questo possa essere fatto con dei trucchi, puntando sulla pancia e sugli istinti più bassi (che sempre umani sono), non toglie che si possa fare interpellando le facoltà migliori e più nobili, alzando il livello. Lo stesso può dirsi della popolarità : quando cerchiamo i like non stiamo solo rispondendo a un malsano bisogno di approvazione, stiamo piuttosto cercando con grande umanità un feedback, un segnale da parte di chi ci ascolta, per sapere se ciò che offriamo è rilevante. La moda e le tendenze poi fanno parte dei quella indole tutta umana a condividere gusti e opinioni per conoscersi e riconoscersi. Una cosa viva, vera, reale, su cui si può e si deve lavorare.
Solo dopo aver assunto tale prospettiva si potrà con consapevolezza affrontare le dinamiche digitali in modo evoluto, ad esempio accettando la fatica di ottenere popolarità e riscontri puntando in alto e non al ribasso; cercando la viralità in ciò che migliora e non in ciò che disgusta; creare tendenza risvegliando e creando riconoscimento e coesione nella parte migliore della nostra natura umana.
Ho in mente molte persone che fanno questo quotidianamente sui social, sono come contadini che seminano e coltivano, nutrendo costantemente chi gli sta attorno. È un piacere essere connessi con loro nel Web.
C'è così tanto da fare in questo versante luminoso e costruttivo che non c'è quasi il tempo di mettersi a stigmatizzare il lato oscuro delle ombre. Non è buonismo ma realismo consapevole. Le tecnologie sono come una lente di ingrandimento che potenzia le nostre caratteristiche umane - quelle promettenti come quelle distruttive - a quali ci dedicheremo come priorità per educare ed educarci ad esser connessi in Rete?
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