Nel volume appena uscito, che ho curato con Giovanni Tridente, affronto un tema che ritengo cruciale: lo spirito di contrapposizione che anima le discussioni sui social.
La mia tesi di fondo è che il riflesso a creare contrapposizioni deriva da una sorta di educazione (in realtà diseducazione) prodotta dallo scenario mediatico precedente a quello digitale.
Quando, infatti, i mass media erano l'unico orizzonte della comunicazione di massa, la retorica "dell'uno contro l'altro" era la modalità più a buon mercato per attirare l'attenzione. Dalle pagine di giornale impostate con le classiche interviste pro/contro, ai talk show con i vari interlocutori posizionati in base a una opposta visione su una certa questione: il conflitto è sempre stato il fattore di notiziabilità più immediato e facile da proporre (e lo è ancora).
Lo spirito di contrapposizione è anche maturato per il tipo di scenario. Prima del Web i media hanno sempre funzionato secondo uno schema broadcast con diffusione di contenuti "da uno a molti". Il mezzo di comunicazione (radio, tv, giornale, ecc.) deteneva la possibilità esclusiva - diremmo il potere - di proporre temi e prospettive alla moltitudine. Il pubblico contava solo nella sua possibilità di ascoltare, leggere, vedere (era parte debole). Non aveva una vera voce in capitolo se non per protesta: lettere ai giornali, associazioni di ascoltatori, manifestazioni pubbliche, ecc.
Questo schema ha fatto sì che in ognuno maturasse il riflesso a reagire con un'opposizione di fronte ai temi affrontati secondo schemi diversi dai propri. È esattamente ciò che accade sui social: quando interagiamo con un post, che sia una notizia o una riflessione di qualcuno, il primo approccio è spesso quello di esprimere una posizione di conflitto (d'accordo/non d'accordo, favorevole/contrario). Succede anche nella elaborazione: quando segnaliamo qualcosa tendiamo a farlo spesso per protestare o per denunciare una notizia/contenuto che riteniamo negativo.
Lo spazio è aperto, disponibile
Nel mio testo sostengo che questa modalità è la meno efficace nello schema conversazionale del Web. Infatti lo spazio online non è come quello dello scenario dei media di massa. Non c'è bisogno di guadagnarsi l'attenzione attraverso conflitti e contrapposizioni perché lo spazio c'è ed è disponibile anche per i "deboli". Non c'è l'editore di internet, ci siamo noi con quello che diciamo e con il "come" lo diciamo in connessione con gli altri. A noi insomma la possibilità di aprire scenari e discussioni nelle modalità che riteniamo migliori, quella conflittuale non è obbligatoria né la più efficace.
La mia tesi è che se - invece di protestare e denunciare - ci si concentra a offrire spunti, a suggerire riflessioni rilevanti, anche a far divertire, in un modo che migliora realmente la vita dell'altro, si è nella modalità più promettente per lo scenario digitale. Chiamo questo spazio "lo spazio di valore", quello in cui ciascuno si dedica a entrare in relazione con l'altro portando qualcosa, un valore aggiunto: mette del suo per il bene di entrambi, invece di dedicarsi a delineare differenze.
Lo spazio di valore è il tempo
A ben guardare infatti quello "di valore" non è uno spazio ma il tempo. Ci vuole tempo per costruire relazioni, per capire, per avere la pazienza di affrontare certi temi. Chi frequenta i social curando la dimensione del tempo pensa a coloro con cui ha a che fare, prima ancora di cercare like facili. Pensa al passato, al presente e anche al futuro. È consapevole che certe cose, che oggi sembrano fondamentali e primarie, fra un po' saranno in secondo piano. Pensa che se anche ci fosse frizione, fraintendimento, incidente, si può sempre recuperare perché c'è tempo. È consapevole che non tutto si può risolvere subito, soprattutto quando ci si sta confrontando su temi essenziali per la vita umana, ed è disposto a fermare la discussione per riprenderla in un secondo momento. Infine: la dimensione del tempo è la dimensione di ciò che dura, che rimane, ciò che veramente conta.
Insomma nel mio testo ci sono queste riflessioni in compagnia degli ottimi contributi di Marc Carroggio sulle caratteristiche dello scenario digitale; di Giovanni Tridente che ha tradotto le prospettive di Papa Francesco della Evangelii Gaudium per i social; di Raffaele Buscemi con cinque consigli pratici e ben pensati per organizzazioni che volgiono stare online in modo proficuo. Completano il volume una riflessione di Eduardo Arriagada sulla conversazione nei social network e due interviste a Daniele Bellasio e Daniele Chieffi e le loro esperienze in questo ambito. La prefazione è di Guido Mocellin a cui va un grande grazie.
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